sabato 12 dicembre 2020

UN UOMO AVEVA DUE FIGLI

               La parabola del figliol prodigo mette in discussione due aspetti di interpretazioni che si uguagliano ma si dissociano nell’ambito della valutazione di un principio morale ovattato da un lato dal sentimento affettivo e l’altro dal diritto esistenziale che governa la vita organica su questo nostro pianeta. Se l’atto di riconciliazione possa esprime la più dignitosa azione che nobilita il rapporto umano, questo gesto non deve far credere per scontato che sia stato definitivamente risolto il convivere pacifico, essendo che, il giovane sia ritornato, poiché, tutto si reggerà sulla permanenza della promessa fatta e sul reale pentimento, essendo che, è quest’ultimo ad essere considerato come la chiave di volta del futuro rapporto sereno familiare. Entrando nel merito della famosissima e quanto mai esemplare parabola del figliol prodigo, la prima cosa che si evidenzia è la decisione subitanea del figlio più giovane, che non avendo espresso nessun mal contento al padre e senza una plausibile riflessione risolve, in modo subitaneo, il cambiamento radicale della sua vita, decidendo di lasciare per sempre la sua casa, non curandosi del danno affettivo che avrebbe provocato al padre. Il fatto grave che il giovane compie, oltre al dolore provato per la sua dipartita, fu quello di chiedere senza altra alternativa la sua quota di eredità, creando indirettamente un danno economico all’intera famiglia. Luca 15:11 Disse ancora: Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Il giovane allontanatosi con la prospettiva di costruire una migliore forma di vita, cominciò a sperperare le sue sostanze vivendo da dissoluto senza curarsi del significato né del valore di quella fortuna, che oltre che fu acquistata con lavoro e i sacrifici della sua famiglia vi era dentro anche la sua partecipazione. Col tempo successe che, come poco accorto fu il giovane nel decidere il suo futuro, poca fu anche la fortuna che lo assecondò. Il soffrire fu la medicina che cominciò a modellare il suo cuore, sottoposto alla giustizia divina che si appesantì su di lui considerevolmente. Vale a questo punto, considerare una riflessione se mai possa esserci una scriminante sulla sua decisione: la sua giovane età, era tale da esigere la conoscenza del mondo? Se, la scelta del giovane possa essere considerata come una necessità giovanile, non lo è la pretesa della eredità, essendo che, lo stesso poteva godere della libertà mantenendosi nell’ambito della sua famiglia. Quindi la sua scelta, comunque essa possa essere guardata è stata una scelta stolta e inavveduta.  Luca 15:15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Ciò, dimostra il fatto che, il giovane, non avendo esperienza né una specializzazione di mestiere si ridusse ad accettare il più umile dei lavori per sopravvivere. Su questa parabola, facendo una riflessione, ci accorgiamo che il figliol prodigo, nel suo modo di interpretare la vita rappresenta l'umanità che, nelle vicissitudini della sopravvivenza, si allontana da Dio ma che alla fine del suo percorso va al Padre chiedendo perdono del proprio allontanamento. Considerando questo riferimento analogico, ci chiediamo chi sarebbe, allora, il fratello maggiore? Diciamo che sarebbero quelli che vissero nel vecchio Testamento che hanno costruito l'eredità dell'avvento del ministero di Dio tramite Gesù. Gesù rappresenta la voce della verità e della via che convertì il cuore del figliol prodigo, cioè, converte oggi, l'umanità al ritorno al Padre. In questo caso, il popolo del vecchio Testamento, a torto o a ragione, accostandosi a questa parabola, potrebbe, come ha fatto il fratello del figliol prodigo, reclamare la stessa parte di grazia che è spettata a noi che abbiamo conosciuto Gesù. Tuttavia, non potendo noi dare un giudizio a questa pretesa, diciamo che è il Padre che decide e divide che ama e che giudica, ma soprattutto, che salva. A Lui sia la gloria in eterno.

Pace e fede nel Signore  

 

        

 

 

 

 

        

 

 

 

 

mercoledì 7 ottobre 2020

NATANAELE

 

         L’apostolo Filippo di Betsaida, città natale di Andrea e di Pietro, si trovò a discutere circa l’apparizione di Gesù in Nazaret, con il suo amico Natanaele, ove quest’ultimo, avendo recepito la notizia della venuta del Messia, pose il dubbio che il Figlio di Dio potesse essere apparso in quel villaggio, piccolo e insignificante del regno di Israele. Che da Nazaret, non sarebbe potuto uscire qualcosa di buono lo conferma l’opinione popolare che da Nazaret, per il suo comportamento non recettivo delle cose divine non si sarebbe meritato l’onore di accogliere la presenza di Gesù, Figlio di Dio: Luca 25:46 E Natanaele gli disse: Può venire qualcosa di buono da Nazaret? Filippo gli disse: Vieni e vedi. Infatti, Gesù fu ripudiato a Nazaret proprio nel villaggio dove risiedeva la sua gente. Su questa opinione non gli si poteva dar torto a Natanaele di nutrire questo dubbio. Tuttavia, questa incredulità non era la dimostrazione di un non credente alle opere di Dio, piuttosto evidenziava una profonda fede, essendo che, pensava che dalla potenza di Dio e per la singolarità dell’evento divino, non poteva apparire Gesù a Nazaret. Nel colloquio Gesù, come riferito sopra, condivide la convinzione negativa del discepolo, ma nello stesso tempo gli dona una rivelazione unica e sbalorditiva della sua origine divina. Dice a Nataniele che lo vedeva sotto l’albero di fico prima che parlasse con Filippo. Luca 25:48 Natanaele gli domandò: Come mi conosci? Gli rispose Gesù: Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico. Questa rivelazione sconvolse immediatamente il sentimento del discepolo che esclamando confermò che Gesù non era altro che il Figlio di Dio: Giovanni 25:49 Natanaele, rispondendogli, disse: Maestro, tu sei il Figlio di Dio tu sei il re d'Israele. La sua conferma, che contrastò la sua stessa opinione che aveva esplicitato prima a Filippo, lo fece subito un convinto discepolo, che a tal proposito, alcuni studiosi lo associano a Bartolomeo. Gesù, provò piacere a palare con Natanaele, poiché, egli non era solo un israelita che aveva fede in Dio e che aspettava con fede la venuta del Messia, ma rappresentava il credente pieno di sentimento, modellato ad essere pronto a ricevere la grazia del Signore. Egli, tuttavia, nutriva l’ansia che il Messia potesse operare subito e liberare il popolo di Israele, come un condottiero di Dio. Per questa sua fede opaca e non profondamente cristallina, Gesù, gli promette che lui vedrà cose maggiori di quello che ha esperimentato in quel momento e che di lui ne farà un fedele discepolo, per il quale, si suppone che verrà aggiunto a suo tempo ai dodici apostoli. Collocandoci ad una similitudine, possiamo dire che, mentre da un lato Zaccheo al momento dell’incontro stava sopra l’albero di sicomoro a spiare Gesù ricevendo una conversione immediata, Natanaele, anche lui vien subito affascinato dalla prova della divinità di Gesù. Così, i due personaggi sono simili nello investigare, in buona fede, contro Gesù ma che dopo averlo incontrato ne divennero pilastri della fede. Anche Tommaso, ebbe una simile esperienza, che, non credendo alla risurrezione del Messia, nel toccare con mani le ferite di Gesù, subito si inginocchiò affermando con profondo riconoscimento che Gesù era il Figlio dell’Iddio vivente. Natanaele resta l’uomo, di cui, Gesù poteva avere fiducia. Egli fu un vero Israelita, del tipo dei padri, ai quali, Dio ebbe a fare tanto favore e benedizione. Natanaele, rappresenta la gente che dal discutere sulla possibilità della realtà di Gesù, dopo l’incontro, ne divengono sacerdoti e servitori di Dio, fino alla fine della loro esistenza.

Pace e fede nel Signore

 

 

 

 

 

 

mercoledì 15 luglio 2020

PERCHE' GESU' PIANSE?

                        Il pianto di Gesù è una questione che è collegata contemporaneamente a due origini, quella divina e quella umana. Nulla avrebbe fatto pensare che Gesù, Creatore e Figlio di Dio, avendo in controllo tutto il creato e la stessa vita dell’uomo avesse potuto soffrire la debolezza di un comune mortale, quella di provare dolore di fronte a certe avversità dell’esistenza umana. Vero è che Gesù si è fatto uomo per assaporare le debolezze umane, quelle di un uomo integro e puro, ma difficile è capire come di fronte alla morte, essendo Egli superiore avesse lacrimato, almeno che, le sue lacrime fossero state assunte per l’esperienza umana, ma ciò contrasterebbe la sua natura divina. Resta allora concludere con una ipotesi razionale, che la sua natura umana fosse conforme a quella dell’uomo con tutte le sollecitudini del caso. Si fa questo riferimento per il fatto che, Gesù fu tentato da satana e resistette come uomo, mentre la persona divina lo sorreggeva. Resta il fatto che se guadiamo Gesù dal lato umano lo consideriamo un umile di cuore, se lo guardiamo come divino ci meraviglia il pianto come debolezza di assumere la potenza della vittoria umana. Partiamo a considerare per primo la persona divina. La Parola, seconda Persona di Dio, essendo il Creatore di tutto il visibile e dell’invisibile, non può assuefarsi a nessuna debolezza né tanto meno al pianto, sebbene, Dio, abbia dimostrato il suo carattere di pentimento, di dolore, di giustizia e di ira, come nel caso di Saul, quando ordinò la distruzione degli Amaleciti all’interdetto. Grave sarebbe, secondo alcuni pensatori, se il divino piangesse per un motivo ritenuto dall’uomo di profondo dolore, anche se fosse per un caso estremamente eccezionale. Diverso è il caso di Gesù quando operava sulla terra. Esaminando i casi, in cui, Gesù pianse in certe circostanze del suo ministero sulla terra, il suo pianto è da essere collegato alla sua relazione umana per il fatto che, in Gesù, si fondano due sentimenti straordinari quello della Parola incarnatosi nel momento della sua nascita, l’altro di se stesso come seme di Dio. Sul caso di Lazzaro, Gesù, come Parola, poteva controllare il pianto, come terreno, per il legame di amicizia sentì una forte commozione che lo portò a lacrimare. Gesù fu sensibile ai fatti e alle vicende che si susseguirono nel suo ministero, più di ogni altro uomo, per cui, ciò che Egli provava, era di gran lunga diverso e significatamene più profondo da quello che avrebbe provato un uomo comune. Giovanni 11:35 Dove l’avete posto? Gli dissero: Signore, vieni a vedere! Gesù scoppiò in pianto…. Tuttavia, vi sono circostanze, nei quali, Gesù esprime un pianto implicito non manifesto, per esempio, quando si addolora dello stato d’essere di Gerusalemme che non seguiva le vie del Signore. In quel caso, nel suo pianto soppresso, prevale la trasmissione del sentimento della delusione di Dio verso Gerusalemme che è trasmessa al cuore di Gesù.  Matteo 23:37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali e voi non avete voluto! In altra occasione Gesù piange con manifestazione di dolore universale prodotto dallo scopo del risultato della sua missione. Luca 19: 41- 42 Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace…. L’oggetto rilevante, per cui, Gesù pianse è riferibile alla non comprensione del popolo di Israele del significato della sua presenza ma ancora più grave della sua riluttanza di consideralo Figlio di Dio.  Facciamoci una domanda: Gesù, col pianto ha dimostrato debolezza ovvero consapevolezza della debolezza dell’uomo? Certamente per la seconda. La volontà di Gesù di scendere sulla terra per salvare l’uomo coincide con il suo pianto nel guardare il peso del peccato concretizzatosi con la morte scaduta sull’uomo, ma nello stesso tempo ci dice che non sarà più così; quindi, considera questo peso come unnico e giustifica l’uomo che lo sopporta.  La salvezza non è cosa da poco lo significa Dio stesso che ha dato il suo unigeno Figlio per il sacrificio della liberazione dalla morte. Tuttavia, il pianto di Gesù rimane un mistero, poiché, confonde l’uomo nell’interpretare il significato del rapporto tra uomo e divino con la stessa persona di Gesù. Rimane da considerare la verità di Gesù per il suo amore dichiarato verso la creatura e del suo unico sacrificio universale sopportato per concretizzare l’eternità nell’uomo di questa terra.   

Pace e fede nel Signore